Non è bene

Come al solito i farisei provano a far cadere Gesù. Gli tendono inganni, gli lanciano domande a trabocchetto sperando di vederlo crollare. Ma il Signore è preparato, ed anche furbo.

Anzitutto, come è solito fare, risponde alla domanda con una domanda. Astutamente pone un interrogativo al quale i farisei sanno ribattere con sicurezza: sulla legge di Mosè sono preparatissimi, conoscono a memoria tutti i cavilli e i codicilli, impossibile che dimentichino o sbaglino qualcosa. Ed ecco che li vediamo prendere la parola con prontezza, magari nel profondo del loro cuore hanno già giudicato male Gesù: “Ecco uno zoticone, uno che arriva dalle montagne di Nazaret, che si spaccia per maestro ma non conosce nemmeno i passaggi più semplici della legge di Mosè”. Forse credono di averlo già messo nel sacco, e pregustano la loro vittoria e la sua confusione e umiliazione davanti a tutta la folla che era accorsa a lui e alla quale stava insegnando. Ma Gesù li coglie in contropiede, parte subito al contrattacco.

La sua parola diviene improvvisamente dura, sferzante: “Per la durezza del vostro cuore egli (Mosè) scrisse per voi questa norma”. E rimanda alla bellezza della creazione: la grazia viene prima della legge, la gratuità supera i codici. Per chi non avesse ancora letto il vangelo di oggi, al cuore della disputa ci sono matrimonio e divorzio. Ma Gesù, prima ancora che dirimere le questioni inerenti ad essi, sembra preoccupato di far tornare tutti – farisei, discepoli, folla – al piano originario di Dio. Che cosa interessa davvero al Padreterno? Per capirlo dobbiamo rileggere la Genesi, gli inizi della creazione del mondo, così come ci vengono raccontati dalla prima lettura.

Nel testo di Genesi, alla creazione, incontriamo un Dio agli occhi del quale tutto è buono, tutto è bello. Ad un certo punto qualcosa – però – lo fa dissentire, gli fa dire che “non è bene”.

Ciò che non va non è qualcosa creato da lui, che gli è uscito male dalle mani. Ciò che non va è una condizione di vita, un modo di stare nel mondo: “Non è bene che l’uomo sia solo”. Ciò che non va è la solitudine, la mancanza di relazioni profonde, di affetti significativi, di legami. Vivere così è tradire l’opera della creazione. La vita in questo senso è piena di

tentativi buoni ma insufficienti. L’uomo cerca qualcosa di più rispetto alla bellezza del creato, della natura, degli animali. Ha bisogno di un aiuto che gli sia simile, di qualcosa che deve ferirlo nella carne (così avviene la creazione della donna), che deve essere “suo”, non nel senso del possesso, ma di qualcosa che esce da lui. “Non è bene che l’uomo sia solo” è parola che riguarda Adamo, l’uomo così com’è. Qualche volta abbiamo dimenticato che una parola così è rivolta a tutti: sia a chi orienta la propria vita nella scelta matrimoniale sia a coloro che – pur desiderandosi celibi o nubili per il Regno di Dio – non possono pensare di vivere soli, di fare del distacco e della freddezza una virtù.

Nessuno nella vita può fare a meno degli affetti. E il bello è che si può maturare in essi. Maturare: perché all’inizio non sta la purezza ma sta il caos. La vita affettiva di ciascuno di noi è così. C’è una stagione da attraversare, ci sono molti passi da compiere, una personalità da far crescere. A volte, dolorosamente, tra errori e cadute.

Maturare negli affetti significa da subito riconoscere che ad amare si impara, che l’affetto e il sentimento sono un’arte, che solo la pratica di un affetto ci spiega fino in fondo la sua ricchezza e i suoi rischi. Questo dell’imparare è un passaggio possibile ad ogni età. Non riguarda soltanto i giovani. Ciascuno di noi probabilmente ha potuto assistere al miracolo di parabole di vite che al loro tramonto si sciolgono alla tenerezza e all’affetto, si  abbandonano fiduciose alla bellezza del voler bene, alla gratitudine, a gesti e parole di cui per un’esistenza intera non si sono ritenute capaci, o dai quali sono fuggite. Non è bene che l’uomo sia solo: in qualunque istante, in qualsiasi stagione della vita.