Domenica col cieco nato

In questa quarta domenica di Quaresima incontriamo un uomo di cui non conosciamo il nome ma solo la sua triste condizione di cieco dalla nascita.

Eppure, proprio quest’uomo che non ha mai visto la luce, proprio lui ci accompagna verso il mistero di Gesù, alla scoperta del suo volto; perché la fede non è operazione degli occhi ma è sguardo della coscienza che riconosce nell’uomo Gesù il Signore. Come per la Samaritana Gesù non sceglie la via breve, quella di una sua parola, una sola, che avrebbe potuto metter fine ad ogni ricerca, ad ogni domanda.

Gesù sceglie la via lunga, prendendo tempo, perché il cieco guarito giunga alla fede: una via che ha bisogno di tanti passi, rispetta l’incertezza di chi va come a tentoni nel buio.

Qui Gesù pone un gesto creatore. Il cieco al momento non ode parole, ode il soffio delle mani che gli accarezzano gli occhi, spalmandoglieli con fango di terra e saliva.

È come se accadesse di nuovo la creazione. Lo Spirito, il soffio di Dio. Nel libro della Genesi sta scritto; “Il Signore Dio plasmò l’uomo con polvere del suolo e soffiò nelle sue narici un alito di vita e l’uomo divenne un essere vivente”. Soffio e fango.

Le mani del Dio creatore ora prendono forma nelle mani di Gesù, riplasmano il cieco.

È come se la creazione si rimettesse in moto, la creazione continua.

Può anche  succedere che uno nasca cieco ma c’è il compito di prolungare l’atto creatore, dando vita, dando luce agli occhi, ricreando condizioni di armonia. È quello che fa Gesù: il prendersi cura. È quello che, per la misura piccola che ci appartiene, tocca anche a noi. C’è anche la domanda dei discepoli, una domanda che abita il cuore di tante persone: di fronte alla malattia, in questo caso di fronte alla disabilità, si chiedono se tale condizione sia conseguenza di un peccato.

Quanto è difficile sradicare, ancora oggi, questo funesto pregiudizio che carica su persone già dolorosamente segnate da malattia e sofferenza il peso di una colpa! Quanti si chiedono angosciati: “Ma che male ho fatto per esser così duramente punito con questa malattia?”.

La parola di Gesù liquida questo pregiudizio duro a morire e ci ricorda che anche nella sofferenza deve risplendere la gloria di Dio. Anche la sofferenza deve esser luogo di manifestazione della benevolenza di Dio attraverso la cura di ciascuno per gli altri. La pagina di Giovanni ha una conclusione che è stata omessa e che invece è preziosa. Accanto al cieco che ha ritrovato la luce vi è un gruppo di persone che pur avendo buona vista sono nell’oscurità.

Sono i farisei, persuasi di veder bene, di non aver bisogno di alcuna luce. È la presunzione dell’uomo che ritiene di bastare a sé stesso e di non aver bisogno di nessuna illuminazione.

La pagina del cieco nato ci dice invece che senza Gesù siamo come ciechi. Parola difficile questa per noi che riconosciamo la nostra ragione come luce per la conoscenza del mondo. Ma questa ragione e la sua luce non bastano. Riconosciamo invece che: “Il Signore è mia luce e mia salvezza di chi avrò paura?” (Sal 27,1). “Lampada per i miei passi è la tua parola, luce sul mio cammino” (Sal 118,105).