Mi accontento dell’atrio
Il salmo 84 (83) è uno dei miei preferiti. Ci trovo dentro la nostalgia della casa e il desiderio della strada, la tenerezza di Dio e il vigore dell’uomo che cammina, la preghiera di chi confida nel Signore e la bellezza della natura che si trasforma.
Così vi invito a leggerlo tutto, non soltanto i pochi versetti riportati dalla liturgia di oggi. È un salmo che regala pace e fa bene al cuore, fidatevi! Se lo pregate per intero vi trovate un’immagine che attrae e sorprende: quella dell’atrio della casa. Al versetto 3 troviamo scritto: “L’anima mia languisce e brama gli atri del Signore”; al versetto 11 il salmista ribadisce: “Per me un giorno nei tuoi atri è più che mille altrove, stare sulla soglia della casa del mio Dio è meglio che abitare nelle tende degli empi”. Quest’uomo credente, appassionato ricercatore di Dio, cammina una vita intera per entrare nel tempio, e poi sembra accontentarsi dell’atrio, della porta di ingresso. Perfino il passero e la rondine (versetto 7) trovano casa e nido accanto all’altare, nel luogo più sacro del tempio, e il pellegrino dopo un viaggio lunghissimo rimane distante, incerto, timoroso, incapace di muovere un passo in più per avvicinarsi al Santo dei Santi. Timidezza? Paura? Come mai si ferma nell’atrio, a contemplare Dio da lontano?
Io credo che il salmista abbia le sue buone ragioni. Anzitutto si ferma in un luogo dove sente ancora il sapore della strada, dove avverte vicina la presenza di tanti altri pellegrini come lui, dove capisce meglio la fatica dell’uomo. È su un luogo di confine, e dal confine si vede meglio cosa c’è dall’altra parte; sta in uno spazio dove il sacro e il profano si confondono e si mescolano come buoni ingredienti di un cibo ben preparato. Dio forse non fa tanta differenza tra il sacro e il profano, tra la polvere della strada e il profumo dell’incenso, e il pellegrino lo capisce bene: stare nell’atrio significa far compagnia a Dio e all’uomo, non dimenticarsi né dell’uno né dell’altro.
C’è un secondo motivo per cui preferire l’atrio. Il salmista misura la distanza. Non osa avvicinarsi troppo, esattamente come il pubblicano della parabola che Gesù racconterà qualche secolo dopo. Non dimentica di essere peccatore, per cui si ferma un istante, comprende la propria indegnità e la propria miseria, la consegna con fiducia al Dio di misericordia. La coscienza del proprio limite non lo abbandona, e sta con timore di fronte a Dio, senza paura ma con la giusta reverenza, con infinito rispetto, quasi per dare tempo al Signore di guardarlo e di perdonarlo. Nell’atrio abbandona tutte le ultime scorie della miseria che lo abita, del peccato che lo insidia. Attende con fiducia l’abbraccio benedicente della benevolenza di Dio Padre.
Terzo motivo: il pellegrino non ha fretta. Non vuole bruciare le tappe, consumare in un fiato, di corsa, tutto quanto vede e ascolta. Non è il vincitore che alza trionfante le mani sulla linea del traguardo, ma l’uomo di fede capace di stupirsi di fronte alla bellezza e alla meraviglia di quanto gli sta di fronte.
Dall’atrio contempla tutto il tempio con uno sguardo di insieme, si fa un’idea precisa della maestà e della grandezza di tutto ciò che lo attende, si prenderà tutto il tempo necessario per arrivare dinanzi all’altare senza perdersi nulla, gustandosi ogni passo, ogni attimo, ogni respiro. Per quest’uomo credente la fede non è un obbligo da assolvere, un compito da eseguire, ma una fortuna da accogliere, una grazia per cui essere riconoscente. Non ha percorso tutta la strada che l’ha condotto all’atrio del tempo per sbrigare di corsa qualche funzione religiosa, per sentirsi in pace con la propria coscienza, ma per incontrare Dio, godere della sua presenza, ricevere il dono della pace. E allora l’atrio diventa importante, necessario, decisivo. Sostare in esso significa raccogliere tutto quanto si è rischiato di perdere nello scorrere logorante dei giorni, sperimentare ancora per poco il gusto meraviglioso dell’attesa, preparare il cuore alla compiutezza dell’incontro.
Allora ci si può accontentare dell’atrio; forse tutta la nostra vita è un portale che si apre al mistero, e ci vogliono tempo e pazienza per raggiungerlo in pienezza. Si possono vivere con fede e gioia grande questi anni terreni, come minuti di fronte a un tempo eterno passati negli atrii della casa del Signore.
Categoria: don Giovanni Ciocchetta, Parrocchia