RIFLESSIONI
Nelle mani dell’Amore.
Come è inutile contare ciò che ami cose fragili accumulate nei tesori che saziano gli occhi, ma inquinano l’anima, così distante da tutto ciò che si fonde nel risucchio mortale che il tempo divora, lasciando solo brevi tracce, che la polvere uccide. Nulla resta, tra le dita, delle cose viste e possedute, una volta spenta la lampada, nemmeno un fruscio vero quasi ultimo odore della ricchezza e tanto meno un saluto d’ addio che da morente ognuno vuole fare a chi un giorno avrà le cose da numerare. Quando le palpebre si chiudono, ciò che le mani stringono in una morsa senza mai staccarsi sino alla fine non sono le cose avute, ma la bontà che si dilata al di là del cielo e come uno scrigno di perle pregiate lo donano alla bellezza dell’Amore.
Saper sempre ricominciare.
Non credere di essere un ” perfettino ” solo perché dici di non cadere o di non aver mai assaporato la polvere del peccato. Ciò che ti fa grande e ti veste di gloria non è tanto il non cadere, ma il coraggio di rialzarti dopo ogni caduta. Mantenersi in piedi per chi sa destreggiarsi in mezzo a tanti alibi di soccombenza è più facile rispetto a chi inciampa, rovina e si rialza. E tu ogni volta che cadi, ti alzi e ti incammini, liberandoti persino dell’odore della polvere, ti autodestini ad essere un uomo veramente nuovo.
Ho visto un Uomo.
Ho visto un Uomo vestito di bianco e stanco sotto la pioggia battente e il vento freddo salire lento verso l’altare carico di dolore di sofferenza ma anche di speranza. Ho visto un Uomo anziano zoppicante fare le tante scale con sulle sue spalle tutto il dolore del mondo. Ho visto un Uomo concentrato nel suo silenzio fremente nella sua preghiera chiedere il perdono di tutti i peccati degli uomini e la loro Salvezza. Ho visto un Uomo, uomo fra gli uomini, innalzarsi su tutti e pregare per tutti. Ho visto un Uomo dire “nessuno si salva da solo” perché non siamo soli se crediamo in Dio e nella sua Salvezza. Ho visto un Uomo che, con tutti gli altri uomini del mondo, si salverà perché ha creduto e crederà per sempre.
Storia di un chicco di grano.
Come il seminatore ebbe terminato la sua opera, il chicco di grano venne a trovarsi tra due zolle di terra nera e umidiccia, e divenne terribilmente triste. Era buio, era umido, e l’oscurità e l’umidore aumentavano sempre di più, poiché al calar sera s’era disciolta in pioggia fitta fitta. C’era da darsi alla disperazione. E il chicco di grano cominciò a ricordare. Bei tempi quelli, quando il chicco stava al caldo e al riparo in una spiga diritta e cullata dal vento, in compagnia dei fratellini! Bei tempi sì, ma così presto passati! Poi era venuta la falce con il suo suono stridulo e devastatore, a sbattere tutte le spighe. Poi i mietitori con i loro rastrelli avevano caricato sui carri le spighe legate in covoni. Poi, più terribile ancora, i battitori si erano accaniti sulle spighe pestandole senza pietà. E le famigliole dei chicchi, vissute sempre insieme dalla più verde giovinezza, erano state sbalzate fuori dalle loro spighe, e i chicchi scaraventati in giro, ciascuno per conto suo, per non incontrarsi più. Ma nel sacco del grano almeno ci si trovava ancora in compagnia. Un po’ pigiati, è vero, e magari si respirava a fatica, ma insomma si poteva chiacchierare un po’. Ora invece, era l’abbandono assoluto, la solitudine tetra, una disperazione! Ma l’indomani fu peggio, quando l’erpice passò sul campo e il chicco si trovò nella tenebra più densa, con terra dappertutto, sopra, sotto, in parte. L’acqua lo penetrava tutto, non sentiva più in sé il minimo cantuccio asciutto.”Ma perché fui creato, se dovevo finire in modo così miserando? Non sarebbe stato meglio per me non aver mai conosciuto la vita e la luce del sole?” Pensava tra sé. Allora dal profondo della terra una voce si fece sentire. Gli diceva: “Abbandonati con fiducia. Volentieri, senza paura. Tu muori per rinascere ad una vita più bella”. “Chi sei?” domandò il povero chicco, mentre un senso di rispetto sorgeva in lui. Poiché sembrava che la Voce parlasse a tutta la terra, anzi all’universo intero. “Io sono Colui che ti ha creato, e che ora ti vuole creare un’altra volta”. Allora il chicco di grano si abbandonò alla volontà del suo Creatore, e non seppe più nulla di nulla. Un mattino di primavera, un germoglio verde mise fuori la testolina dalla terra umida. Si guardò attorno inebriato. Era proprio lui, il chicco di grano, tornato a vivere un’altra volta. Nell’azzurro del cielo il sole splendeva e la lodoletta cantava. Era tornato a vivere… E non da solo, poiché intorno a sé vedeva uno stuolo di germogli in cui riconobbe i suoi fratellini. Allora la tenera pianticella si sentì invadere dalla gioia di esistere, e avrebbe voluto alzarsi fino al cielo per accarezzarlo con le sue foglioline.
Dio è il pastore. Il dolore è il suo cane. Talvolta ha il morso duro, ma è per il bene.
Categoria: don Giovanni Ciocchetta