Con Gesù di fronte alla morte
In questa domenica detta di Lazzaro Gesù sta di fronte alla morte del suo amico Lazzaro. La morte domina questa pagina: la malattia e la repentina fine di Lazzaro, il pianto delle sorelle, il cordoglio della gente, il fetore del cadavere e il turbamento e il pianto di Gesù. quando l’uomo muore e viene messo in un sepolcro, Dio piange. Con Lazzaro e con le sorelle Marta e Maria Gesù aveva creato intensi legami di amicizia, la casa e la tavola di Betania era un po’ casa sua e la morte dell’amico lo segna profondamente. Avviene in Lui quello che ognuno di noi sperimenta quando la morte come un ladro ci strappa la gioia di un volto, di una presenza. Tutti abbiamo sperimentato il silenzio che scende in noi con la morte dell’altro, di una persona con la quale abbiamo costruito legami che proprio la morte spezza. Ci sono parole che non potranno più essere dette perché rivolte proprio a chi non è più, nomi che non possiamo chiamare, gesti che non possiamo più compiere. Con la morte dell’altro la morte entra nella nostra vita. La sofferenza che segna la nostra esperienza della morte sta a dire che qualcosa di me muore, qualcosa in me muore. È consolante leggere nel Vangelo che anche Gesù ha vissuto questa esperienza umanissima, l’esperienza di un legame, di una appartenenza, di una amicizia così intensa da soffrire e piangere per la morte dell’amico. Questo vangelo ci dice che il Figlio di Dio ha fatto sua la nostra esperienza umana del dolore, della sofferenza, della morte. La sofferenza e la morte sono entrate in Dio stesso. Il Vangelo ci dice che con Gesù la sofferenza e la morte sono entrate in Dio. È un invito a non rimuovere dalla nostra esistenza questa dura esperienza della morte. E se vogliamo vivere la gioia della Pasqua non dobbiamo sottrarci alla sofferenza della morte. Oggi, purtroppo, in molti modi si vuole allontanare l’evento della morte. Non abbiamo parole per dire questo evento, sappiamo solo elaborare pietose bugie per non affrontarlo. Non sappiamo preparare e prepararci a questo evento, così come abbiamo separato i luoghi del vivere dai luoghi del soffrire e del morire. Una sorta di cordone sanitario isola allontana e sottrae alla vista le persone inesorabilmente avviate alla fine. Non si capisce bene perché, ma di fatto ognuno vive questa situazione, la paura di morire, come limitazione mortale da superare, invece che come condizione naturale per vivere. Impariamo con Gesù a stare di fronte alla morte, accettiamo d’essere segnati da questa perdita, da questa assenza, non sottraiamoci alla sofferenza che ci procura, accettiamo il nostro limite come occasione di comunione con gli altri. Di fronte alla morte Gesù ci rivolge una domanda: credi tu? E che vuol dire credere, affidarsi a Dio quando si è di fronte alla morte? È come tendere le braccia al di là delle esitazioni e delle paure per afferrare la mano di Dio che è irrevocabilmente tesa verso di noi. Come il gesto di chi tiene, accarezza, stringe la mano dell’altro che soffre e muore. Davvero felici coloro che hanno potuto scoprire il miracolo di pace e serenità che può compiere una mano amica che tiene la nostra mano in un momento difficile, quando ogni parola diventa inutile. Se già la mano dell’uomo può operare un tale prodigio in forza della sua tenerezza, che cosa non farà per noi la mano di Dio se sappiamo afferrarla? Credere nell’ora della morte è questo affidamento, come Gesù morente: “Padre, nelle tue mani affido la mia vita”. Parola ardua. Ci sia dato di chiudere ogni nostra giornata e, un giorno, la nostra esistenza, con questa parola.
Categoria: Parrocchia