Parlare al muro

Tutte le volte che leggo la Bibbia e incontro Mosè, mi viene l’istinto di prendere le sue difese, di stare dalla sua parte, qualunque cosa succeda.
Lo faccio per affetto alla sua vita grama di guida nel deserto in tempi difficili; mi fa tenerezza vederlo dibattersi a metà strada tra un Dio che gli affida spesso compiti sgradevoli e sproporzionati e un popolo duro di testa e refrattario a qualunque forma di correzione, brontolone e irascibile, indocile e cocciuto.
Anche rileggendo il brano di oggi voto a favore di Mosè, ma mi tocca dire che sbaglia.
Per capire dove sta l’errore, occorre rileggere con pazienza il testo di Nm 20, col suo esordio drammatico: “Mancava l’acqua“.
Il vino può anche venir meno – ci ricorda il vangelo delle nozze di Cana – e se anche non c’è Gesù a fare il miracolo si può vivere lo stesso, certo con meno gioia, con i musi lunghi di una festa finita male e troppo presto.
Ma se manca l’acqua, non si vive del tutto: hai voglia a comprarla in un deserto, dove non ci sono negozi o stazioni di servizio. Si comprendono allora le ragioni del popolo che si assembra minacciosamente davanti a Mosè ed Aronne; si capisce bene l’allontanarsi dei due dall’assemblea, un pò per sottrarsi agli insulti ed agli spintoni, un po’ per correre da Dio che sembra aver girato le spalle, chissà, forse si è dimenticato, si è distratto.
Mi metto dalla parte di Mosè, dicevo.
Immagino la rabbia, la paura che si portava dentro mentre era lì, prostrato davanti all’Altissimo, senza saper bene cosa fare.
Eppure Mosè sbaglia.
Dio dice chiaramente a lui e ad Aronne: “Parlate alla roccia“. E Mosè cosa fa? “Percosse la roccia“, ci dice il testo di Numeri. Certo, l’acqua scorre abbondante, ne bevono bestie ed esseri umani, ma non è la stessa cosa.
Tant’è che Dio ci resta male: “Non avete creduto in me“, dice agli esecutori materiali del prodigio.
Mosè ha disobbedito, non si è fidato che bastasse parlare alla pietra, ha voluto batterla, quasi come per farle del male.
Eppure il suo errore ci aiuta a capire i rischi di chi esercita una responsabilità, un compito, un servizio. Ne vedo almeno tre.
Anzitutto il rischio di dimenticare le parole di Dio.
Mosè non ricorda che la sua autorità e la sua forza non gli vengono da se stesso, che tutto ciò che ha compiuto l’ha potuto fare perché Dio gliene ha dato la forza.
Pensa di poter fare di testa propria, di poter sostituire ai gesti e alle parole di Dio i propri gesti e le proprie parole.
Dio farà scaturire ugualmente l’acqua dalla roccia, ma gliene chiederà conto.
Il successo parziale si trasformerà in una sconfitta finale: né Mosè né il popolo da lui guidato entreranno nella terra promessa, toccherà ad altri al loro posto.
In secondo luogo il rischio di diventare violenti. Mosè esercita un uso improprio del bastone, con il quale Dio aveva aperto le acque del Mar Rosso. Il bastone era l’espressione visibile della forza del Signore e nello stesso tempo l’emblema di chi doveva accompagnare e guidare il popolo nel deserto.
Mosè lo trasforma in un’arma, in un corpo contundente, qualcosa che può far male, rompere, ferire.
Diventa il simbolo di un potere duro, arrogante, violento, che esprime la propria autorità con la forza e le percosse.
Infine – ed è l’ultimo rischio che avverto – non posso non riscontrare nel gesto di Mosè il segno di una rabbia profonda. Forse proprio perché non può prendersela col popolo picchia la roccia, soga la sua ira, la sua collera sulla pietra; magari ha in mente un volto ed un nome preciso mentre batte con violenza sul masso che farà scaturire l’acqua.
Mosè sbaglia ma insegna. A volte – lo so bene – parlare con qualcuno o parlare con me è come parlare al muro.
La parola di Dio non mi entra nella testa e nel cuore e sono tentato di agire con rabbia e con violenza di fronte a quanto mi viene detto e suggerito, di prendermela con gli altri come se non fossi – come loro – testardo e duro a convertirmi. E allora quando parlare con me è come parlare al muro, provo a ricordarmi di Mosè.
Anche nei suoi riguardi Dio ha “parlato ad un muro”, eppure da questo muro è uscito qualcosa di buono. Dalla roccia è scaturita l’acqua, dal cuore di Mosè una profonda compassione per il suo popolo, che ha accompagnato ed amato finché Dio gliene ha dato la forza.