La legge delle decime
Dal Messaggio dell’Arcivescovo ai diciottenni della Diocesi (III parte):
A 18 anni si sperimenta, io credo, una specie di contraddizione tra il fatto di «avere tutti i diritti e doveri» di un adulto, e l’impressione di «non poter fare niente». Un 18enne nel nostro Paese è considerato «troppo giovane», e le possibilità effettive di avere un vita propria, un’abitazione propria, un’attività propria, un’autonomia reale sono molto ridotte: per lo più il giovane dipende ancora in tutto dalla sua famiglia. Mi sembra opportuno reagire a questa percezione di impotenza e mi piacerebbe seminare nei 18enni la persuasione di essere presenza attiva, significativa, preziosa per la società e la Chiesa di oggi. Per questo è necessario scuotersi dalla comoda condizione del dipendere che induce ad aspettarsi tutto dagli altri: occorre piuttosto introdursi nella fierezza e nella bellezza del partecipare. Sei parte della società e la tua partecipazione ne decide la qualità; sei parte della comunità cristiana e la tua partecipazione ne determina il valore. Se tu manchi viene a mancare un patrimonio, e se tu non partecipi ti riduci ad essere un peso solitario.
Per esprimere questa partecipazione attiva e costruttiva mi permetto di ribadire un criterio che sembra quantitativo ma che in realtà è «spirituale»: si tratta della legge delle decime. È una legge che non impone una tassa, ma suggerisce di vivere l’appartenenza alla società e alla comunità con un contributo significativo. La legge delle decime consiglia di considerare quello di cui ciascuno dispone realmente come se avesse una «destinazione comune»: cioè il tempo che ho non è solo per me, ma per la condivisione. Perciò, tanto per fare un esempio: ogni dieci ore dedicate allo studio, un’ora potrebbe essere dedicata a chi fa fatica a studiare; ogni dieci ore dedicate allo sport, un’ora potrebbe essere dedicata a chi non può fare sport. Lo stesso vale per i soldi, i libri, la musica eccetera.
+ Mario Delpini
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