La visita del Papa è un gesto d’affetto, farà bene a tutti!
Da un’intervista dell’Arcivescovo a Famiglia Cristiana e Jesus:
Il Papa viene per confermarci nella fede e nell’amore. Anche Milano e le terre ambrosiane ne hanno bisogno più che mai, in questa fase di cambiamento epocale. Una volta archiviati Gesù Cristo e la Chiesa (si sente sempre più parlare di postcristianesimo) ci si consegna mani e piedi alla tecnoscienza, cioè a un mix di scienza e di tecnologia convinti di potere, a suon di algoritmi, individuare la figura dell’uomo del futuro. Non dovrà più essere, come ci ha insegnato la tradizione, una persona a tutto tondo, capace di dare un senso al vivere e al morire, al gioire e al soffrire, all’amare e al lavorare, ma piuttosto, secondo l’inquietante formula del filosofo tedesco Marc Jongen, l’uomo sarà sempre più il prodotto del suo stesso esperimento. […] Papa Francesco non si stanca di annunciare, con i gesti prima che con le parole, una Chiesa estroversa, instancabile nell’andare incontro ad ogni donna ed ogni uomo. E l’apertura è nel DNA storico e perfino “geografico” di Milano. Dalla sua visita mi aspetto un beneficio per tutti; per i cristiani in termini di approfondimento della sequela di Cristo e per chi ha altre fedi oppure pensa, o dice, di non credere, la scoperta della bellezza della dignità personale di ogni “altro” e della solidarietà con ogni “altro”. E qui conta molto quello che io reputo un contenuto di fondo dell’azione del Papa: l’abolizione del criterio di esclusione, a tutti livelli; il superamento di quella che egli chiama “cultura dello scarto”. Non c’è più né ebreo né pagano, né uomo né donna, né schiavo né libero, scriveva già San Paolo. Un principio, questo, che esprime con radicalità il Vangelo. […]
Il cristianesimo non è in primis né una dottrina né una morale; è l’incontro personale con Cristo, che diventa facilmente “contagioso”. Se infatti la gente incontra qualcuno segnato da Cristo capisce che Gesù spiega l’uomo all’uomo, si fa carico dei suoi limiti e li riscatta. […] Molti, neanche dei giovani, non sono in sé e per sé contrari alla fede. Lo dico con l’esperienza maturata in 26 anni di episcopato. Solo – penso soprattutto alle generazioni di messo – si sentono schiacciati dal ritmo di vita a cui sono costretti. Quante persone devono farsi un’ora o due di auto in tangenziale per tornare a casa, arrivando a sera – e alla domenica – stravolte? Come si può pensare di portarle in parrocchia? Da questo punto di vista bisogna cambiare molto, mettendo in conto di andare noi da loro. Questo comporta che i laici assumano fino in fondo il loro ruolo di soggetti della Chiesa, abbandonando definitivamente quello mortificante, anche se forse più comodo, di clienti. Non amo parlare di una pastorale dei lontani, perché ogni uomo e ogni donna ha a che fare tutti i giorni col problema degli affetti, del lavoro, del riposo, del dolore fisico e morale, del male, dell’aldilà. Siamo chiamati ad abitare gli ambiti della vita dell’umano.
Angelo Card. Scola
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