Prolusione del card. Angelo Bagnasco per apertura Consiglio Permanente CEI
(Roma, 25-27/01/16)
Riportiamo solo alcuni passaggi della Prolusione.
Pastori e cittadini
In quanto cittadini e Pastori sentiamo il dovere di esprimere alcune meditate considerazioni sul momento storico che la nostra società sta attraversando. Ogni nostra parola, come sempre, vuole essere rispettosa dei ruoli, e ha lo scopo di contribuire alla difficile costruzione del bene comune: nasce dall’amore per il nostro Paese e dalla missione di servire anche dando voce alle preoccupazioni della gente comune, accanto alla quale abbiamo la grazia di vivere.
Continuano – con alcune alternanze – voci autorevoli circa la ripresa complessiva dell’economia: ce ne rallegriamo, ma siamo quotidianamente testimoni che, nelle nostre parrocchie e comunità, le ricadute sul piano concreto non si notano ancora. Condividiamo l’umiliazione di giovani che bussano invano alla porta del lavoro e, quindi, non riescono a farsi una famiglia; sentiamo la sofferenza – non di rado sul filo dello scoraggiamento e della resa – di adulti che, dopo aver perso l’occupazione, da anni resistono grazie a lavori occasionali o alla provvidenza dei nonni. Veramente chi non ha lavoro sente di perdere anche la propria dignità! A costoro – che sono folla – diciamo sommessamente di non arrendersi, che la Chiesa è vicina; che insieme cerchiamo strade non solo di immediato sostegno, ma anche di nuove opportunità lavorative.
Gli sforzi che la comunità cristiana compie, e che negli ultimi anni si sono giustamente moltiplicati, sono grandi; ma siamo coscienti dei limiti e dei compiti che abbiamo, consapevoli che la prima responsabilità di creare lavoro e occupazione è altrove. Comunque, continueremo a tentare ogni via che l’amore a Cristo e alla gente ci suggerisce possibile, alla luce della misericordia e delle sue opere. Anche sul piano della solidarietà sociale, vediamo una contrazione preoccupante a diversi livelli, con indigenti di ogni tipo: bambini e anziani, donne e uomini. Purtroppo – e non è una sorpresa – aumentano anche il disagio psico-relazionale e gli stati ansiosi dovuti alla preoccupazione per il futuro dei figli, e ciò accresce le difficoltà nei rapporti familiari, nonché nella possibilità di trovare e di tenere il lavoro.
Mi si permetta ora di ricordare alcuni dati che descrivono una certa realtà che non deve diventare invisibile agli occhi di nessuno: cifre che aiutano la percezione delle cose e la direzione dell’impegno. Gli ultimi dati ISTAT confermano che oltre quattro milioni di persone nel nostro Paese vivono in condizione di povertà assoluta. L’ultimo rilevamento della nostra Caritas, risalente al 2014, dice che circa un milione e duecento mila persone sono state aiutate dai Centri di Ascolto delle comunità cristiane. I problemi maggiormente persistenti risultano essere quelli economici, di lavoro e abitativi. I sei milioni e trecento mila pasti erogati, sempre nello stesso anno, dalle 353 mense della Caritas – a cui bisogna aggiungerne almeno altrettanti, assicurati da Parrocchie, Istituti religiosi, associazioni varie – indicano chiaramente l’esistenza di un vero e proprio “disagio alimentare”. Lo stesso deve dirsi per la distribuzione dei “pacchi viveri”: risultano essere oltre sei milioni e mezzo solo quelli dati dai centri coordinati dalla Caritas. A ciò si affiancano forme nuove di intervento come, ad esempio, una cinquantina di “empori-market solidali”. Va anche segnalato – significativo indice della realtà che stiamo vivendo – un aumento della richiesta di soli interventi di ascolto, segno di una solitudine crescente e del tentativo di non affondare nelle sabbie mobili della invisibilità. Oltre a questa vasta e capillare prossimità – possibile grazie anche all’otto per mille che gli Italiani destinano alla Chiesa cattolica – è in atto da qualche anno un’ “Alleanza contro la povertà”: vi partecipano oltre trenta organismi del mondo ecclesiale, sociale, sindacale, per promuovere – fra l’altro – il “reddito di inclusione” sociale, al fine di contrastare la povertà assoluta mediante l’integrazione di sostegno al reddito individuale, nonché tramite un’adeguata politica dei servizi come il lavoro, l’istruzione, la salute…
Rileviamo queste cose soltanto per riconoscere la forza della gente, la sua persistente capacità di tenuta nonostante tutto, la possibilità di fare reti virtuose, la voglia di lottare e di tenere accesa la fiammella della fiducia. C’è un bene sommerso che non fa notizia, ma crea rapporti e segna la vicenda umana: va incoraggiato per far crescere il fronte della generosità e del servizio ai poveri e agli indigenti, perché la vita di tante persone richiede risposte concrete e tempestive.
Lo scrigno della famiglia
In questa linea sentiamo il dovere di rilanciare la voce della famiglia – tesoro inesauribile e patrimonio universale – perché sia tutelata, promossa e sostenuta da politiche veramente incisive e consistenti: sono la condizione per aiutare – come già avviene in altri Paesi – la nascita dei figli che – come ha detto Papa Francesco – “non sono un problema di biologia riproduttiva”; tra l’altro, “una società avara di generazione, che non ama circondarsi di figli, che li considera soprattutto una preoccupazione, un peso, un rischio, è una società depressa”. Per questa ragione, come abbiamo rilevato altre volte, l’indice di natalità è un segnale decisivo per valutare lo stato di un Paese, e pertanto dovrebbe essere da tutti meglio considerato.Inoltre, sempre più vengono a galla – nel sentire della gente – l’amore e la convinzione per cui la famiglia, come prevede la nostra Costituzione, è il fondamento e il centro del tessuto sociale, il punto di riferimento, il luogo dove ricevere e dare calore, dove uscire da sé per incontrare l’altro nella bellezza della complementarietà e della responsabilità di nuove vite da generare, amare e crescere. Per questo ogni Stato assume doveri e oneri verso la famiglia fondata sul matrimonio, perché riconosce in lei non solo il proprio futuro, ma anche la propria stabilità e prosperità. Auspichiamo che nella coscienza collettiva mai venga meno l’identità propria e unica di questo istituto che, in quanto “soggetto titolare di diritti inviolabili, trova la sua legittimazione nella natura umana e non nel riconoscimento dello Stato. Essa non è, quindi, per la società e per lo Stato, bensì la società e lo Stato sono per la famiglia”.
Sul fronte vitale della famiglia si è accesa una particolare attenzione e un acceso dibattito. È bene ricordare che i Padri costituenti ci hanno consegnato un tesoro preciso, che tutti dobbiamo apprezzare e custodire come il patrimonio più caro e prezioso, coscienti che “non può esserci confusione tra la famiglia voluta da Dio e ogni altro tipo di unione”. In questo scrigno di relazioni, di generazioni e di generi, di umanesimo e di grazia, vi è una punta di diamante: i figli. Il loro vero bene deve prevalere su ogni altro, poiché sono i più deboli ed esposti: non sono mai un diritto, poiché non sono cose da produrre; hanno diritto ad ogni precedenza e rispetto, sicurezza e stabilità. Hanno bisogno di un microcosmo completo nei suoi elementi essenziali, dove respirare un preciso respiro: “I bambini hanno diritto di crescere con un papà e una mamma. La famiglia è un fatto antropologico, non ideologico”.
I Vescovi sono uniti e compatti nel condividere le difficoltà e le prove della famiglia e nel riaffermarne la bellezza, la centralità e l’unicità: insinuare contrapposizioni e divisioni significa non amare né la Chiesa né la famiglia. Costituiti messaggeri e araldi del Vangelo della famiglia e del matrimonio, non solo crediamo che la famiglia è “la Carta costituzionale della Chiesa”, ma anche sogniamo un “Paese a dimensione familiare”, dove il rispetto per tutti sia stile di vita, e i diritti di ciascuno vengano garantiti su piani diversi secondo giustizia. La giustizia, infatti, è vivere nella verità, riconoscendo le differenti situazioni per quello che sono, e sapendo che – come ha ribadito il Santo Padre – “quanti (…) vivono in uno stato oggettivo di errore, continuano ad essere oggetto dell’amore misericordioso di Cristo e perciò della Chiesa stessa”. I credenti hanno il dovere e il diritto di partecipare al bene comune con serenità di cuore e spirito costruttivo, come ha ribadito solennemente il Concilio Vaticano II: spetta ai laici “di iscrivere la legge divina nella vita della città terrena. Assumano la propria responsabilità alla luce della sapienza cristiana e facendo attenzione rispettosa alla dottrina del Magistero”.
Il testo completo è consultabile sul sito della CEI.
Categoria: Chiesa Cattolica Italiana, Parrocchia